Sono passati poco più di due anni, da quel 1° febbraio del 2021, quando l’esercito del Myanmar (Birmania) prese il potere con un colpo di stato. La giunta militare, attualmente ancora al governo, fece arrestare i più importanti leader del partito di maggioranza (Lega Nazionale per la Democrazia), e tra questi Aung San Suu Kyi (78 anni e premio Nobel per la pace nel 1991), eletta democraticamente dal popolo e a capo del governo allora in carica. Durante questo arco di tempo, migliaia sono state le persone uccise e perseguitate dal nuovo governo, e di conseguenza tantissime sono state le proteste della popolazione (come ad esempio lo sciopero generale organizzato in occasione del secondo anniversario del colpo di stato). A guidare il golpe fu il capo delle forze armate della Birmania, il generale Min Aung Hlaing, autoproclamatosi poi Primo Ministro del paese. Il colpo di stato avvenne lo stesso giorno in cui avrebbe dovuto riunirsi il nuovo parlamento eletto alle elezioni precedenti nell'anno 2020. La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, sconfisse pesantemente i militari sostenitori del Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione. Questi ultimi poi, non accettando la sconfitta, avrebbero in seguito accusato il partito LND di eventuali brogli elettorali per ottenere la vittoria. In un clima di grande tensione, si arrivò fino al colpo di stato del 1° di febbraio 2021. Inizialmente i militari interruppero le comunicazioni nella capitale Naypyitaw e in altre località, dichiarando in seguito lo stato di emergenza. Questi fatti gravissimi causarono immediatamente la reazione del popolo birmano, con proteste organizzate in tantissime città. I media riportarono notizie di uccisioni e arresti di massa, oltre a decine di sfollati in fuga dal paese. Col passare dei mesi poi, le manifestazioni pacifiche di opposizione nei confronti della giunta militare si trasformarono in una vera e propria resistenza armata (ad esempio le Forze di difesa del popolo), che assunse col tempo i contorni di una "ufficiosa" guerra civile. Questi gruppi furono inoltre accusati di terrorismo dalla dittatura militare, soprattutto a causa di imboscate e attacchi contro l'esercito, che rispose agli scontri in modo sempre più violento. Tra gli episodi più tragici e recenti, possiamo ricordare quello avvenuto a settembre dell'anno scorso nei pressi di Tabayin, in una scuola situata a circa 100 chilometri a nord-ovest di Mandalay, dove persero la vita 13 persone. Oltre agli episodi di violenza da parte della giunta militare, è da citare anche il processo contro Aung San Suu Kyi, accusata di importazione e detenzione illegale di walkie-talkie/ricetrasmittenti, violazione delle norme di sicurezza del paese imposte per contrastare la diffusione del Covid19 e corruzione, con una condanna a 33 anni di reclusione. Inoltre la nuova dittatura militare, (anche se come sappiamo il Myanmar fu governato da un regime militare dal 1962 al 2011), dichiarò di aver condannato a morte ben 4 oppositori politici, un fatto che fece molto scalpore nel paese, che non eseguiva pene capitali dal 1988. Recentemente pare che i metodi della dittatura si siano in qualche modo "ammorbiditi". Alcuni prigionieri politici sono stati scarcerati, ma la repressione nei confronti degli oppositori del regime è ancora molto dura, tanto che ad alcuni partiti sarà impossibile partecipare alle prossime elezioni. I Paesi membri della comunità internazionale, in risposta al colpo di stato, hanno imposto pesanti sanzioni contro il paese, per cercare di indebolirlo il più possibile, considerando soprattutto che la maggior fonte economica dello stato è da attribuire all'industria tessile e all'agricoltura. Ad oggi la situazione in Myanmar è di totale instabilità e arretratezza. Tra le ultime notizie in data 23 luglio 2023, spicca quella riguardante l'uccisione di circa 14 persone, morte in seguito ad un violento raid effettuato dall'esercito contro i ribelli delle Forze di difesa del popolo, ovvero i rivoluzionari che combattono contro la giunta militare. Gli scontri tra le due fazioni, hanno interessato le regioni di Sagaing e Magway, oltre agli stati di Kayah, Kachin e Karen in questi ultimi giorni. I media locali inoltre hanno parlato di civili uccisi dall'esercito non appartenenti ai ribelli. In questi giorni è intervenuto anche il segretario di Stato degli USA Anthony Blinken, per invitare la dittatura a porre fine alla violenza nei confronti della popolazione. Tuttavia, a quanto pare, le pressioni diplomatiche sono state inutili, e la difficoltà dei giornalisti di poter accedere al paese rendono ancora più complicato ogni tipo di verifica sul territorio e sulla violenza messa in atto dal regime nei confronti della popolazione birmana.
(link utile https://www.gazzettadellemilia.it/cronaca/item/31019-arrestata-la-premio-nobel%20aung-san-suu-kyi-e-i-militari-prendono-ufficialmente-il-potere-in-myanmar)
La vita di Aung San Suu Kyi
Aung San Suu Kyi, figlia del generale Aung San U, premio Nobel per la pace nel 1991, è una attivista e politica birmana nata a Rangoon il 19 giugno del 1945. Aung trascorre molti anni all'estero, al di fuori della Birmania (chiamata Myanmar dal 1989 come nome ufficiale dello stato) per fare rientro nel suo paese di origine nell'anno 1988. Infatti da ragazza studia in India nel 1960 e quattro anni dopo, in Inghilterra, studia presso la Oxford University. Aung decide di rientrare in patria per mettere in atto delle riforme e per democratizzare a livello nazionale il proprio paese. Qui promuove il partito, Lega nazionale per la democrazia, diventando in breve tempo un simbolo, una rappresentazione della non violenza opposta al regime militare, da sempre impegnato in una eterna battaglia contro di lei per ridurla allo stremo. Nel partito viene anche nominata segretario generale, e questi riconoscimenti e la grande visibilità ottenuta, non vanno a genio alle autorità militari, che la pongono agli arresti domiciliari nel mese di luglio del 1989, e che la rendono oggetto di una forte attività diffamatoria soprattutto in vista delle elezioni multipartitiche del maggio del 1990. Nonostante tutto, il partito di Aung San Suu Kyi ottiene l'82% dei consensi elettorali. Di conseguenza il regime militare, nel mese di aprile del 1991, inizia ad ostacolare la convocazione dell'Assemblea Costituente ed ottiene l'estromissione di Aung dal suo partito. Nello stesso anno la politica e attivista birmana viene insignita del premio Nobel per la pace, e questo provoca l'interesse dell'opinione pubblica e della comunità internazionale, che di conseguenza aumenta l'isolamento diplomatico dello stato birmano. Nel 1995, a Luglio, in seguito alle pressioni di Stati Uniti e Nazioni Unite, Aung ottiene uno stato di semilibertà, che le consente ad ottobre dello stesso anno di assumere nuovamente gli incarichi all'interno del suo partito, pur continuando ad essere vittima di restrizioni e provvedimenti da parte della giunta militare. Finalmente, nel novembre 2010 Aung riesce ad ottenere la totale libertà. Nell'anno 2011, in Birmania, il potere viene assegnato ad un governo civile, che da molti viene considerato un tentativo di nascondere quello militare intento a muovere i fili dietro le quinte. Per le elezioni del 2012 Aung decide di candidarsi ufficialmente e il suo partito diventa la principale forza di opposizione, ottenendo l'82% dei voti nella città di Kahwmu. Il successo ottenuto consente ad Aung di candidarsi alle prime elezioni libere del 2015. Qui Aung San Suu Kyi ottiene il 70% delle preferenze. Un altro risultato degno di nota è quello ottenuto l'anno successivo con la nomina a presidente del Paese dell'economista Htin Kyaw, primo civile dai tempi della dittatura militare durata 54 anni, grande amico e collaboratore di Aung e iscritto allo stesso partito. Infatti per Aung San Suu Kyi non è possibile ricoprire tale carica, perché in passato sposata con un britannico (Michael Vaillancourt Aris 1946-1999) e perché madre di figli con passaporto estero. Tuttavia a marzo del 2016, il neopresidente Htin Kyaw, nomina Aung ministro degli Esteri, che il mese successivo riceve anche l'incarico di consigliere di Stato. Ma i primi problemi non si fanno attendere, infatti il nuovo governo viene fortemente criticato dalla comunità internazionale per le violenze subite dalla minoranza musulmana Rohingya da parte dell'esercito birmano. Questi fatti portano ad un forte calo di popolarità nei confronti di Aung, che pur ottenendo di nuovo la maggioranza alle elezioni suppletive del 2018, riesce a conquistare solo 7 seggi su 13. Il partito di Aung San Suu Kyi alle elezioni del 2020 conquista nuovamente la maggioranza, ma l'anno seguente, a causa di tensioni scaturite da presunti brogli elettorali, il giorno 1 febbraio 2021 le forze armate birmane rovesciano il nuovo governo con un colpo di stato. Aung viene arrestata e tutti i poteri finiscono nelle mani del generale Min Aung Hlaing. In seguito a diverse sentenze e accuse di vario genere, la donna attualmente si trova incarcerata, con una condanna da scontare a 33 anni di reclusione.